martedì 23 settembre 2014

Quando i bulli erano teddy boys


La scuola pubblica che ho frequentato era di pertinenza di una vasta area cittadina per cui, assieme a noi bambini della buona borghesia dei quartieri residenziali, la frequentavano i figli dei profughi istriani, quelli dei braccianti emigrati dal nordest, quelli dei primi immigrati del sud e gli orfanelli del Dominioni.
Tra loro non mancava qualche autentica canaglia (ma anche tra noi, pur se si sarebbe rivelata molto più tardi).
Tutti costoro, per miseria e promiscuità avevano idee molto precise ed evolute in ordine alla proprietà privata e al sesso, due questioni, ad essere onesti, più importanti dell'ortografia e della grammatica, in cui, invece, scarseggiavano.
Con un po' di attenzione, non era difficile rendersi conto che questi bambini di una sola cosa, nella loro vita, avevano fatto e continuavano a fare indigestione, delle umiliazioni.
Invece di averne fatto il callo, ne erano diventati reattivi e chi di noi manifestava un eccesso di puzza al naso, rischiava di vedersi somministrare una cura più energica ed efficace di qualsiasi cortisone.
Non era neppure difficile rendersi conto che il loro deludente presente condizionava negativamente le loro aspettative per il futuro, e se ciò toglieva loro la speranza, che è indispensabile veicolo di senso per l'esistenza, in compenso riduceva al minimo la paura per le conseguenze delle loro azioni.
La paura, loro la negavano e la disprezzavano, dunque attenzione, in loro presenza, a dimostrarsi dei fifoni. Soprattutto non si doveva far capire che si aveva paura di loro.
Se si commetteva quest'errore, due potevano essere le conseguenze, o divenire vittime predestinate e abituali della loro aggressività, o essere trascinati nelle più sciagurate delle loro imprese, pagandone il fio.
Insomma, a ben vedere, ti invitavano ad avere un rapporto tra pari, evitando tanto l'albagia che la subalternità.
Di simili individui è pieno il mondo e li incontri dappertutto, nelle strade, sui posti di lavoro, in treno e nei caffè. Mi fu utile, in adolescenza e nell'età adulta, avere imparato da bambino a che fare con loro.
Il bello della scuola pubblica è che ci incontri la società così com'è realmente e che, se vuoi, puoi imparare a viverci.

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