venerdì 21 dicembre 2012

homeschools


La borghesia fa da sé
Leggo questa lettera su un blog di homeschooler nazionali, il movimento di chi sceglie l'educazione parentale, in alternativa alla scuola pubblica.
È un movimento che riflette palesamente la tendenza della borghesia a ritenersi centro del mondo e misura di tutte le cose.
La cosa è nata in America, sulla spinta delle sette più fondamentaliste che temono, a ragione, che nella scuola pubblica si leggano altri libri, oltre alla Bibbia.
Malgrado i poco nobili natali, il movimento dell'homeschooling incassa, qui da noi, qualche gradimento a sinistra, nell'ottusa convinzione che ogni scontento sia un oppositore e ogni cosmopolitismo un passo avanti verso l'internazionalismo.
Leggiamo le ragioni che hanno indotto Asya a scegliere questa soluzione, ne valutiamo la serietà e fin d'ora ci complimentiamo con il senso di responsabilità dei suoi genitori.
Ho tredici anni, mio papà è italiano ma sono madre-lingua inglese. A scuola, a volte, non capivo quando spiegava la maestra anche se cercavo di stare attenta.
Il papà deve essere molto impegnato, se in tredici anni non è riuscito a insegnare la sua lingua alla bambina. Ora, evidentemente desideroso di farle riguadagnare il tempo perduto, la tiene a casa da scuola, e, immaginiamo, chiederà il part time per insegnarle l'italiano, perché si suppone che la madre non lo sappia fare (o finora non lo ha fatto per scelta?). Un'alternativa è che la famiglia ritenga se non commendevole, lecito, che si possa risiedere e crescere in Italia, ignorandone la lingua.
Questa bambina madrelingua inglese, che ha come hobby l'equitazione, ci fa venire in mente i tanti bambini madre e padrelingua araba, wolof, indi, cinese e kormanci che affollano le nostre aule scolastiche. Debbo onestamente dire che, se ci fosse l'obbligo di scegliere, sarei contento di tenermi questi e di rinunciare alla piccola amazzone.
Mi distraevo spesso quando i compagni sussurravano o mi facevano passare bigliettini e poi mi disperavo perché avevo perso il filo del discorso della maestra e magari si arrabbiava pure con me.
Di bimbi come questa, ce n'è a valanghe: non sono mai loro a far qualcosa, è sempre un altro che ha cominciato.
Nella mia classe, li gratifico di un castigo triplo, perché la responsabilità di ogni atto è personale, perché ignorano l'utile precetto evangelico del fuscello e della trave, ma soprattutto perché non sono originali e sanno solo imitare.
Inoltre mi annoiavo perché non avevo fatto molta amicizia con i compagni di scuola: io, infatti, ero (e sono ancora) un po’ timida! Preferisco stare con i miei cari amici più che stare con i ragazzi della classe. [in neretto nel testo].
Disdicevole, lo ammettiamo, che nella scuola pubblica uno non si possa portare gli amici da casa, ma siamo sicuri che tenere la piccola Asya ben ovattata nel suo rassicurante piccolo mondo familiare sia la strada migliore per farle superare i suoi problemi?
Mi spiace sinceramente, per questa bambina, costretta dalla scelta dei genitori a crescere sotto una campana di vetro, ma il compiacimento con cui gli homeschoolers ne pubblicano la lettera è fonte, per me, di viva soddisfazione.
Da un ventennio la borghesia nostrana si dà da fare per ridisegnare la scuola e modellarla al proprio uso e consumo.
Ma se ci sono iniziative come queste, vuol dire che ancora non c'è riuscita del tutto.

sabato 15 dicembre 2012

struzzi e zanzare


Troppo spesso, con impropria logica da pay tv, si riflettono sulla scuola tristi echi di cronaca, in seguito ai quali si reclamano estemporanee programmazioni di educazione civica, o stradale, o sanitaria, o alimentare.
Soprattutto in campo etico-morale, le famiglie sembrano ormai esentate dal dovere di formazione dei figli che passa – con unità didattiche ad hoc – alla scuola.
Ma non è così che funziona: precetti, comandamenti, proibizioni – da che mondo è mondo – soprattutto se trasmessi da un'istituzione per molti versi invisa, si trasformano inevitabilmente nel catalogo delle cose di cui, prima o poi, è assolutamente indispensabile fare esperienza.
Per stemperare la propensione naturale all'egoismo, alla prepotenza, al soddisfacimento immediato dei bisogni, occorrerebbe tutt'un'altra scuola, dove, ad esempio, la collaborazione fosse incentivata più della competizione. Una scuola che forse c'è stata, ma che non c'è più.
Quando, però, come recentemente, un adolescente si suicida, la scuola va giustamente interrogata. E non solo perché proprio fra i banchi possono essere maturate le circostanze che hanno indotto l'estremo gesto, ma soprattutto perché sgomenta il fatto che in un luogo tanto centrale della sua esistenza, un ragazzo non abbia trovato nessuno con cui condividere la propria disperazione.
Sarebbe però sbagliato individuare il rimedio in un maggior dialogo tra insegnanti e alunni. A parte il fatto che tale modello pretesco mal si concilia con l'organizzazione attuale, basata sulla lezione frontale, è in ogni caso evidente che per tale via ben difficilmente si riuscirebbe a scalfire la scorza che protegge l'affettività dolente di chi è seriamente in situazione problematica.
Ma, a saperlo usare, c'è un'altro modello di comunicazione, assolutamente di routine e che coinvolge tutti. È ben noto che episodi, talmente conturbanti da essere seppelliti come colpe segrete, emergono talvolta anche nel disegno, apparentemente banale, eseguito a commento di una favola.
Qualche giorno fa, un insegnante francese, ha chiesto ai suoi alunni di terza media di immaginarsi candidati al suicidio e di scrivere la loro lettera d'addio.
Se un simile componimento fosse stato assegnato, a tempo debito, al liceo Tasso, un'eccessiva identificazione o, al contrario, un troppo vigile distanziamento, avrebbero potuto suonare come campanelli d'allarme.
Per intanto, il professore d'oltralpe è sospeso dal servizio; a quanto pare, di certe cose non bisogna parlare.
Questa, la ragione, un tabù: in Europa e nel XXI secolo.
C'è naturalmente chi cerca di mimetizzarlo in un'apparente critica didattica: l'insegnante non avrebbe affrontato preventivamente l'argomento con i suoi alunni. Bravo merlo! Se il testo, da narrativo, diventa argomentativo, il conformismo prevale e all'insegnante viene restituito, più o meno bene, ciò che egli stesso ha detto.
Non mistifichiamo, dunque, si propone la politica dello struzzo.
E viene in mente l'episodio della Zanzara, il giornalino scolastico per cui si chiamarono i gendarmi. Aveva parlato di sesso, argomento out, anche se le ragazzine restavano incinte a quindici anni.
L'AIDS si è diffuso soprattutto col silenzio, ma la paura che siano le parole, ad essere contagiose, resta patrimonio delle società arretrate e dei ceti sociali più retrivi.
Ciò non sorprende, disgusta invece che le autorità preposte, in nome di una customer satisfaction che andrebbe lasciata ai supermercati, siano sempre pronte a mettere in forse una cosa seria come la libertà di insegnamento, sull'onda di spinte umorali, tanto plebiscitarie, quanto culturalmente inconsistenti.
A queste pavide burocrazie ministeriali vanno addebitate molte responsabilità del rapido attecchimento di quel germe populista, altrove esecrato.

domenica 2 dicembre 2012

luoghi






Sarmede paese delle favole
Ogni anno, per lo più nel mese di dicembre, si svolge a Sarmede, in provincia di Treviso, la Mostra Internazionale dell'Illustrazione per l'Infanzia. A parteciparvi sono abitualmente i più grandi illustratori a livello europeo e mondiale, ma vi sono sezioni aperte anche per le nuove generazioni di illustratori.
Durante il periodo della mostra si svolge inoltre la manifestazione denominata Le Fiere del teatro che rievoca antiche feste popolari con artisti di strada, mangiafuoco, burattinai e saltimbanchi.
Rivolta alle scolaresche è La Scuola va a Teatro, rassegna di teatro e laboratori per 
bambini e ragazzi.