martedì 30 ottobre 2012

esegesi biblica in quarta elementare


Ad occasionare questo lavoro, il bollettino parocchiale che, nell'articolo di fondo del suo ultimo numero, faceva riferimento alle parabole del buon samaritano (Luca 10, 25, ss.) e del ricco epulone (Lc, 16, 19, ss.).
Partiamo dal presupposto che le due parabole, citate nello stesso contesto, abbiano qualcosa in comune, e ci proponiamo di andarlo a cercare.
Per prima cosa leggiamo i testi.

IL BUON SAMARITANO
Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico e cadde nelle mani dei ladroni i quali, dopo averlo spogliato e coperto di ferite, se ne andarono lasciandolo mezzo morto. Per caso un sacerdote scendeva per quella stessa strada e, veduto quell'uomo, passò oltre, dall'altra parte. Similmente anche un levita si trovò a passare da quel luogo, lo vide e passò oltre, dall'altra parte. Ma un Samaritano, che era in viaggio, passò accanto a lui, lo vide e ne ebbe compassione. E, accostatosi, fasciò le sue piaghe, versandovi sopra olio e vino; poi lo mise sulla propria cavalcatura, lo portò a una locanda e si prese cura di lui. E il giorno dopo, prima di partire, prese due denari e li diede al locandiere, dicendogli: "Prenditi cura di lui e tutto quello che spenderai in più, te lo renderò al mio ritorno". Quale dunque di questi tre ti pare sia stato il prossimo di colui che cadde nelle mani dei ladroni?». E quello disse: «Colui che usò misericordia verso di lui». Gesù allora gli disse: «Va' e fa' lo stesso anche tu.
IL RICCO EPULONE
C'era un uomo ricco, che vestiva di porpora e di bisso e tutti i giorni banchettava lautamente. Un mendicante, di nome Lazzaro, giaceva alla sua porta, coperto di piaghe, bramoso di sfamarsi di quello che cadeva dalla mensa del ricco. Perfino i cani venivano a leccare le sue piaghe. Un giorno il povero morì e fu portato dagli angeli nel seno di Abramo. Morì anche il ricco e fu sepolto. Stando nell'inferno tra i tormenti, levò gli occhi e vide di lontano Abramo e Lazzaro accanto a lui. Allora gridando disse: Padre Abramo, abbi pietà di me e manda Lazzaro a intingere nell'acqua la punta del dito e bagnarmi la lingua, perché questa fiamma mi tortura. Ma Abramo rispose: Figlio, ricordati che hai ricevuto i tuoi beni durante la vita e Lazzaro parimenti i suoi mali; ora invece lui è consolato e tu sei in mezzo ai tormenti. 

Occorrono alcuni chiarimenti lessicali:
incappare = imbattersi;
percuotere = picchiare;
levita = appartenente alla tribù di Levi (una delle dodici tribù d'Israele);
Samaritano = abitante della Samaria (regione della Palestina), cioè uno straniero;
giumento = mulo;
locanda = alberghetto;
rifondere = restituire;
prossimo = vicino;
epulone = mangione;
porpora = colorante molto costoso che si ricavava da un mollusco;
bisso = una specie di seta, anch'essa ricavata da un mollusco, dunque costosa;
banchettare = mangiare con abbondanza;
lauto, lautamente = abbondante, abbondantemente;
brama, bramoso = desiderio, desideroso;
seno = in questo caso ambito, vicinanza.
A questo punto gli alunni sono in grado di disegnare le due parabole (in quattro vignette, Il buon Samaritano, in una sola Il ricco Epulone), che sono state precedentemente drammatizzate, per concentrare l'attenzione sul gioco degli sguardi. (disegni di Andrea)



























La maggior parte degli alunni non ha difficoltà ad individuare le tre analogie:






e a giungere a una prima conclusione.
Don Andrea ci ha proposto di leggere assieme queste due parabole, perché in ambedue si parla di qualcuno che distoglie lo sguardo.

La successiva discussione ci permette di compilare questo schema:
superiori
sacerdote
levita
ricco
ignorano
inferiori
straniero
cane
hanno pietà
con conseguente seconda conclusione:
i cosiddetti superiori si comportano peggio di quelli che sono considerati inferiori.

Un nuovo schema ci aiuta, invece, a trovare una differenza:
Tutti ignorano il viandante ferito, tranne il Samaritano.
Tutti (persino il cane) si accorgono di Lazzaro, tranne il ricco.

che ci permette di affermare un'equivalenza:
sbagliare in tanti = sbagliare da soli.

Ancora uno schema che ci permette una seconda equivalenza
Il sacerdote e il levita non hanno ferito il viandante.
Il sacerdote e il levita non soccorrono il viandante.
Il ricco non è responsabile della miseria di Lazzaro.
Il ricco non soccorre il povero Lazzaro.
Cioè: non fare il bene = fare il male

A questo punto ci sembra di aver capito, nei dettagli, le questioni su cui don Andrea ci invitava a riflettere.

Allo scopo di verificare la comprensione del ragionamento, si invitano gli alunni a questo esercizio di parafrasi.
Riscrivi la parabola «Il buon Samaritano» trasportandola dall'antica Palestina a un moderno paese della Pianura Padana.
Sostituisci i personaggi originali con:
il sindaco Peppone,
il parroco don Camillo,
il postino Alfredo, che si è ubriacato ed è caduto in un fosso,
Abdul, venditore ambulante di cose inutili.

Con una mia (relativa) sorpresa, mi accorgo che almeno tre alunni (senza particolari difficoltà logiche) hanno grandi difficoltà a far assumere il ruolo positivo ad Abdul.
Siccome si tratta di un lavoro di sostituzione abbastanza meccanico, ipotizzo che le difficoltà derivino da resistenze, sostanzialmente inconsce, rieccheggianti quei discorsi familiari, gravidi di razzismo travestito da buon senso, che si sono ormai tristemente diffusi, soprattutto nei ceti popolari.
È un sintomo del fatto che, con buona pace del comportamentismo, è soprattutto la sfera affettiva ad influenzare, o addirittura ad inibire le capacità cognitive.
La maggior parte degli alunni, comunque, esegue correttamente, con minore o maggior voglia, il lavoro proposto.
Buono il tentativo di Alessia di ambientare la storia nella realtà locale.



Il postino Alfredo, che come suo solito si è ubriacato, è caduto in un fosso nel paesino di Lumellogno, luogo dimenticato da Dio nel cuore della Pianura Padana.
Dopo qualche ora, il primo cittadino, cioè il sindaco, passò per quella strada, lo vide, e passò oltre.
Successivamente, il parroco, don Camillo, andò per quella medesima strada, lo vide, e passò oltre.
Dopo qualche minuto, arrivò Abdul, il venditore ambulante di cose inutili, lo vide e ne ebbe compassione. Lo curò con le cose che aveva, poi lo portò al circolo “I gatt da 'Mlogn” e disse al barista: «Curalo e abbine cura! Poi ritornerò da te e ti rimborserò».



Così rappresenta la nuova storia Andrea G.





















A questo punto viene proposto un ulteriore sforzo.

Don Andrea, però, nel bollettino parrocchiale, diceva anche che bisogna soccorrere non solo i bisogni materiali (povertà, malattia, …), ma anche quelli morali che possono derivare da condotte di vita sbagliate. Quindi, Abdul, dopo averlo curato, dovrebbe dare qualche buon consiglio ad Alfredo.

Qui, facendo riferimento a criteri più salutistici che morali, la risposta suggerita è più in sintonia con l'etica pragmatica di oggidì e tutti centrano il bersaglio, consigliando ad Alfredo una maggior temperanza.







giovedì 11 ottobre 2012

IL PAESE SBAGLIATO

l


Nel video vediamo la Polizia di Stato che esegue, con molto zelo e scarsa umanità, un ordine del tribunale.
Il fatto di aver eseguito degli ordini, abituale tesi difensiva dei nazisti, non li assolve: certi ordini si rifiutano.
Assolutamente incivile, a dir poco, la decisione di eseguire il prelievo a scuola, dove il bambino non ha accanto a sé familiari che possano tentare  di attenuare, per quanto possibile, lo choc di chi si vede, a dieci anni, tratto violentemente in arresto come un boss della malavita.
Chi dispone questi interventi a scuola è un essere indegno che va cacciato a pedate dalla questura, se è un dirigente di PS, o dal tribunale, se è un magistrato.
Provo pena per gli imbelli insegnanti di questo bambino, se una cosa simile dovesse capitare nella mia scuola, opporrei resistenza in modo fattivo.
Quanto all'opinione pubblica, faccia uno sforzo per uscire dalla schizofrenia.
Al cinema, o leggendo un libro, nessuno  - ma proprio nessuno - ha mai fatto il tifo per chi - in nome della legge - cerca di acchiappare gli orfanelli per portali in luogo idoneo .
Tutti hanno sempre fatto il tifo per Hugo Cabret, per David Copperfield o per Gavroche.
Come mai ciò non avviene nella vita quotidiana?
Non è che speriamo che certe cose capitino soltanto ai bambini degli zingari?

lunedì 8 ottobre 2012

mestiere ingrato



Cause e rimedi della dislessia: le evidenze scientifiche nell'informazione quotidiana.

La prima volta che un lettore del quotidiano torinese La Stampa si imbatte nel termine dislessia, entrato in letteratura medica sin dal 1890, è solo l'8 ottobre 1963. Nell'articolo Vista e udito degli scolari, il professor Angelo Viziano, nel sottolineare l'utilità degli esami audiometrici per individuare disturbi dell'udito che possono essere alla base dell'insuccesso scolastico, lamenta il fatto che tali accertamenti non sono in grado di segnalare quella turba particolarmente leggera che si ritiene provocare gravi difficoltà nell'apprendimento della lettura, perciò detta dislessia1.
La dislessia sembra dunque riconducibile a un difetto uditivo, a tal punto che il professor Viziano dà questo nome al deficit uditivo che la determinerebbe.
Nel dicembre 1966, una lettera al giornale palesa il cruccio di una madre, il cui figliolo, per quanto si applichi diligentemente, risulta sempre l'ultimo della classe.
Chi le risponde, celato dietro lo pseudonimo il dottor X, enumerando le differenti cause dell'insuccesso scolastico, cita anche, come disturbi rari, la dislessia e la disortografia, ma non spiega in cosa consistano2.
Lo stesso anonimo dottore tornerà sullo stesso argomento un paio d'anni dopo, ricordando che a determinare un ritardo nell'apprendimento basta una miopia, un ambliopia, un insospettato deficit dell'udito, un anche minimo disturbo della lettura (dislessia) o della scrittura (disortografia)3.
Per il dottor X, dunque, dislessia e disortografia sono disturbi specifici e non hanno niente da vedere con i deficit dell'udito.
Passa molto tempo, prima che si torni a parlare di dislessia sulle colonne del giornale torinese, lo fa Aida Ribero4, che prova ad elencarne le cause – molteplici e per certi aspetti poco chiare – sulle quali si confrontano punti di vista radicalmente diversi.
Veniamo così a sapere che alcuni studiosi imputano il problema a cause ereditarie o congenite, altri a difetti nell'orientamento spaziale, altri ancora a una difettosa lateralizzazione imputabile a mancinismo contrastato. Nelle sue conclusioni la Ribero richiama l'attenzione sull'atteggiamento dell'orientamento psicoanalitico che mette queste anomalie sul conto dei disturbi della sfera affettiva, endemici nelle famiglie socioeconomicamente marginali.
Nell'ottobre 1982 si dà notizia delle conclusioni a cui è giunto, dopo una ricerca durata oltre quindici anni, e sviluppatasi tra il MIT di Boston e l'Università di Harvard, il neurologo Norman Geshwind5.
Geshwind, assodata statiscamente la correlazione tra predominio dell'emisfero cerebrale destro, mancinismo, e dislessia, ne ha individuato in un eccesso di produzione di testosterone la probabile causa.
In meno di vent'anni, quindi, la causa dei DSA è stata individuata, da prima in un deficit sensoriale, poi in una serie di cause in cui sembra prevalere l'aspetto relazionale, infine in un fattore ormonale.
Non è, naturalmente, finita qui. L'anno successivo, si tiene un congresso internazionale ad Andora. Sintetizzando gli interventi, il cronista ci informa che la dislessia è la difficoltà di leggere, accompagnata da disturbi motori e alterazione intellettiva localizzata nelle zone cerebrali del linguaggio6.
Il testosterone sembrerebbe essere rapidamente uscito di scena, ma qualche mese dopo, un nuovo articolo ci avverte che le tesi di Geshwind sono ancora in auge7.
L'attento e fedele lettore del quotidiano torinese, comunque, non ha avuto, fin qui, ragioni di dubitare che la vista potesse essere in qualche modo implicata nel problema della dislessia, ma, altrove, qualcuno evidentemente doveva averlo fatto.
Infatti, nel luglio 1984, tre importanti associazioni americane, l'Academy of Ophtalmogy, l'Academic of Pediatrics e l'Association for Pediatric Ophtalmogy & Strabismus, sentono il bisogno di smentire ufficialmente ogni legame tra disturbi della vista e dislessia. Secondo le autorevoli associazioni, il disturbo andrebbe ascritto a danni cerebrali o a privazioni ambientali. La notizia è confinata in un trafiletto, ma deve essere importante, infatti, a distanza di un anno, viene ribadita8.
Un mese più tardi, Irene Vernero, logopedista dell'Università di Torino, fa il punto della situazione. I disturbi dovrebbero allora dipendere: da alterazioni neurologiche organiche cerebrali, da disabilità sensopercettive, da disabilità di coordinazione di movimenti complessi fini (disprassie), da turbe di relazione interpersonale di tipo affettivo o culturale9.
Lo scenario sembra dunque cambiato, ma La Stampa, di lì a poco, torna a riaffermare l'attualità dell'ipotesi di Geshwind10.
L'idea che se ne fa, a questo punto, il lettore, è che sulle cause della dislessia ci sia quantomeno una bella diversità di vedute, cosa che dovrebbe indurre alla prudenza. È, quindi, con sgomento che apprende della sperimentazione di farmaci nootropici su bambini dislessici11.
Sulla questione non poteva però mancare il punto di vista popolare, così sul Colle della Maddalena, complice la tradizionale penuria di notizie d'agosto, si tenta un'improbabile correlazione tra dislessia e inquinamento elettromagnetico12.
Ma la scienza vera incalza, un trafiletto dà notizia di una ricerca pubblicata dal British Medical Journal, questa volta la causa del disturbo è individuata in una carenza di zinco della madre, durante la gravidanza13.
Siamo così arrivati agli anni '90, l'alimentazione è un mantra, e non stupisce, perciò, l'affermazione del pediatra londinese Michael Tettenborn, il quale, sulla base dello studio di 400 casi di DSA, è giunto alla conclusione che l'unico rimedio alla dislessia consiste nella dieta. Convincente, anche, quando aggiunge che i maschi sono più esposti delle femmine ai disordini alimentari pronubi di disturbi d'apprendimento, un po' meno quando ci informa che i biondi sono più a rischio dei bruni14.
Nella gran confusione, di una cosa eravamo comunque certi (l'informazione era stata data per ben due volte), ossia che l'unico apparato insospettabile di aver responsabilità nella formazione di disturbi dell'apprendimento fosse quello della vista. Orbene, un subdolo trafiletto, il 3 di ottobre del '91, ci smentisce: un gruppo di neurologi dell'università di Harvard dimostrano (sic) che all'origine della dislessia c'è un disturbo della vista e non – come si è sempre creduto (ma da quando?) – del linguaggio. Non basta, con delle banali lenti a contatto colorate – incalza il trafiletto – si sarebbero già risolti l'80% dei casi trattati15.
Qualche mese dopo la situazione cambia ancora: in un'intervista, rilasciata al quotidiano, il dottor Fabio Beatrice, otorinolaringoiatra del policlinico torinese, richiama l'attenzione sul fatto che nel bambino costretto a vivere in un ambiente rumoroso si determina un ritardo nell'apprendimento del linguaggio, fino a casi estremi di dislessia...16.
Era l'orecchio, accidenti! Come nel gioco dell'oca, dopo un giro durato trent'anni, eccoci tornati alla casella di partenza.
Ma non ci restiamo a lungo, alla fine dell'anno, un flash d'agenzia ci ricorda che la dislessia, come recentemente dimostrato, è provocata da un disturbo della vista17.
Vista o udito, sembrerebbe che ci si stia orientando verso il deficit sensoriale, ma a guastar la festa interviene uno dei più autorevoli esponenti della psicoanalisi internazionale , Serge Lebovici, il quale non ha dubbi: anche la dislessia è legata alla personalità del bambino e al contesto familiare, non, dunque, di deficit sensoriale, si tratta, ma di problema psicologico18.
A rimescolare le carte ci pensa l'équipe del professor G. F. Eden al National Institute of Mental Ealth di Washington, che armeggiando con la risonanza magnetica funzionale (fMRI), giunge a conclusioni inequivocabili: il disturbo è dovuto a un doppio difetto, visivo e fonologico, a cui probabilmente si deve aggiungerne uno uditivo19. Tout se tient.
A questa definitiva acquisizione si aggiunge un efficace strumento diagnostico, la chiromanzia. Una serie di studi ha infatti dimostrato che un attento esame delle linee della mano e dei polpastrelli permette di individuare con certezza: schizoidi, schizofrenici, borderline, autistici, omosessuali e, naturalmente, dislessici20.
Finisce il secolo e arrivano le novità. Si diffonde il metodo che il dottor William Horatio Bates ha messo a punto, per la verità, nel 1919 e che consiste in una serie di esercizi che dovrebbero correggere, senza ricorrere a lenti correttive, molti difetti della vista. Il metodo, tempestivamente messo in atto, può prevenire la dislessia, eliminando quelle difficoltà di messa a fuoco che costringono il piccolo lettore a saltare le righe21. Era, dopotutto, un problema banale.
Ci sentiamo comunque abbastanza rassicurati, giacché nel secolo XXI la ricerca sembra ormai decisamente orientata a confinare in ambito sensoriale l'eziologia del disturbo, quand'ecco che – fulmine a ciel sereno – un inserto redazionale di propaganda a una linea di prodotti nutrizionali ci scaraventa indietro di un decennio: autorevoli pareri accademici, ipotizzano infatti l'efficacia degli acidi grassi polinsaturi nel trattamento di alcuni disturbi del comportamento (disordine da deficit di attenzione-iperattività o ADHD, dislessia)22. Non solo riappare improvvisamente la tesi nutrizionista, contemporaneamente la dislessia finisce anche catalogata tra i disturbi di comportamento.
È un autentico colpo basso, che annienta tutte le nostre certezze. Ma per poco, la settimana successiva, infatti, apprendiamo, con un certo sollievo, che la dislessia è un disturbo neurologico su base genetica, complicato anche da qualche fattore culturale (opacità o trasparenza delle lingue)23.
Siamo in pieno postmoderno, e il remake è moneta corrente, non ci stupiamo, quindi, se, all'improvviso – ma anche in questo caso abbiamo a che fare con un inserzione pubblicitaria – ricompaiono quelle lenti a contatto colorate che avevano risanato l'80% dei dislessici di Harvard del 1991.
La storia, come nella tradizione delle leggende metropolitane, presenta leggere varianti, questa volta a prescrivere le lenti è l'oculista inglese David Harris, il campione sottoposto alla prova è di 47 (quarantasette) pazienti, la percentuale di successo del 15 % (quindici per cento). Padre Pio avrebbe fatto molto meglio.
L'insolita, e poco convincente, terapia si basa, ovviamente, su un ipotesi teorica, secondo la quale la dislessia dipenderebbe da difetti a livello di quelle cellule nervose che collegano la retina al centro ottico del cervello24
Nel novembre 2003 Ezio Giacobini ricicla in gran parte quanto aveva scritto, nel 1996, a proposito dell'impiego della fMRI nelle ricerche sulla dislessia, ma dà anche notizia di una ricerca genetica, avviata all'università di Helsinki, un filone di indagine che si prospetta interessante25.
La natura neurologica (disturbo congenito a base neurologica associato a specifiche difficoltà nel linguaggio)26 e la trasmissione genetica27 dei DSA sembrano ormai assodate. E siamo all'oggi.

Pur nella necessaria sommarietà della divulgazione, le cronache giornalistiche hanno dato conto, nel corso degli anni, della reale dialettica delle ipotesi scientifiche sull'argomento. Naturalmente ogni tesi affacciatasi nel dibattito ha reclamato, pro tempore, tutti i crismi dell'evidenza scientifica.
All'insegnante desideroso di aggiornarsi su un argomento cruciale per il suo mestiere non saranno mancate perplessità, a fronte dei bruschi voltafaccia, ordini e controordini della teoria.
Del resto, a lui dell'eziologia della dislessia poco dovrebbe importare, imperativo, invece – e su questo, sin dai primi articoli, le cronache non si smentiscono mai – non confondere il dislessico con un lazzarone.
Per questo voglio concludere con un ultimo articolo, estremamente edificante:
Adenoidi scambiate per dislessia
Una mamma lacerata dal dubbio che la propria figlia, secondo l'opinione delle maestre, possa soffrire di dislessia, poi una serie di controlli che escludono il disturbo: il problema era una conseguenza dell'intervento alle adenoidi. Ma le ferite per quei giudizi affrettati non si rimangiano facilmente. Così la donna ha presentato un esposto alla Procura della Repubblica «per abuso psicologico»28.

Dove, per «per abuso psicologico» si intende, certamente, eccessivo uso della psicologia.

NOTE
1Angelo Viziano, Vista e udito degli scolari, in «La Stampa», 8 ottobre 1963, pag. 11.
2Il dottor X, Il mio bambino studia e si applica, ma è sempre l'ultimo della classe, in «La Stampa», 4 dicembre 1966, pag. 13.
3Il dottor X, Quando il bimbo prende brutti voti, in «La Stampa», 19 ottobre 1968, pag. 15.
4Aida Ribero, Quando il bimbo confonde alcune lettere dell'alfabeto, in «La Stampa», 21 settembre 1976, pag. 11.
5Gianni Mancassola, Un ormone sessuale fa diventare mancini? in «Tuttoscienze», 20 ottobre 1982, pag. 4.
6g. m. , La cura della dislessia in un convegno a Andora, in «La Stampa», 19 aprile 1983, pag. 19.
7Ezio Giacobini, Perché la natura non ha fatto l'uomo simmetrico, in «Tuttoscienze», 29 febbraio 1984, pag. 1.
8Nuove tesi sulla dislessia, in «Tuttoscienze», 4 luglio 1984, pag. 4. Dislessia quali cause, in «Tuttoscienze», 29 maggio 1985, pag. 4.
9Irene Vernero, Difficoltà di lettura non sempre è dislessia, in «Tuttoscienze», 26 giugno 1985, pag. 4.
10Daniel Goleman, Dalla mamma sotto stress nasce un figlio mancino, in «Tuttoscienze», 30 ottobre1985, pag. 4.
11Ezio Minetto, Se spunta il vuoto di memoria, in «La Stampa», 27 aprile 1986, pag. 9.
12m. sp. , Una foresta di antenne TV e c'è chi teme la sterilità, in «Stampasera», 3 agosto 1987, pag. 4.
13Dislessia e deficit di zinco, in «Tuttoscienze», 22 giugno 1988, pag. 4.
14Marina Verna, Bimbi cattivi? È colpa della dieta, in «La Stampa», 10 agosto 1991, pag. 14.
15Pillole, in «Stampasera», 3 ottobre 1991.
16Daniela Daniele, Già nell'utero il gran baccano ci guasta l'udito, in «Stampasera», 12 marzo 1992, pag. 14.
17Adnkronos, Dickens scoprì la dislessia, in «La Stampa», 22 dicembre 1992, pag. 16.
18Isabelle Groc, Mandateli sui banchi solo all'età giusta, in «La Stampa», 16 giugno 1993, pag. 11.
19Ezio Giacobini, Il disturbo che confonde le sillabe, in «Tuttoscienze», 27 novembre 1996, pag. 1.
20Marco Pacori, In palmo di mano, in «Tuttoscienze», 4 agosto 1999, pag. 1.
21Irene Cabiati, La ginnastica che fa bene agli occhi, in «La Stampa», 28 aprile 2001, pag. 47.
22Nutricia, integratori per il benessere, in «La Stampa», 19 luglio 2001, pag. 6.
23Ezio Giacobini, L'inglese provoca la dislessia?, in «Tuttoscienze», 25 luglio 2001, pag. 3.
24La seduzione parte dagli occhi, in «La Stampa», 4 aprile 1993, pag. 74.
25Ezio Giacobini, Le sorgenti occulte della dislessia, in «Tuttoscienze», 5 novembre 2003, pag. 3.
26Barbara Gallavotti, Più dislessici in Inghilterra che in Italia, in «Tuttoscienze», 28 luglio 2004, pag. 3.
27Martina Costa, La “malattia” dei geni, in «Torinosette», 11 febbraio 2005, pag. 100.
28Adenoidi scambiate per dislessia, in «La Stampa», 13 ottobre 2005, pag. 37.