domenica 12 maggio 2013

scuola, ghetti e jus soli

Mariolino a scuola ci viene poco, adesso è un po' che non si vede. Lo incontriamo, io e la sua maestra, mentre aspettiamo l'autobus. Avanza verso di noi e comincia, già in lontananza, ad agitare le mani, a significare l'imbarazzo che l'incontro gli crea.
«È la mamma, è la mamma che è ... difficile» dice alla sua maestra, per giustificare l'assenza, e intanto allarga e richiude più volte le braccia, in quel gesto simboleggiando l'ineluttabilità e l'indicibilità di una situazione di cui ci immagina edotti.
Edotti, almeno in parte, lo siamo. La mamma di Mariolino l'ho vista in azione un paio di mesi fa.
All'uscita di scuola, come talvolta è già accaduto, Mariolino non trova nessuno che lo riporti a casa. Lasciarlo andare da solo ‒ casa sua è lì vicino ‒ non si può, una legislazione terrifica lo proibisce in maniera tassativa (fino alla quinta, però, dall'anno successivo potrà prendere l'autobus da solo e attraversare tutta la città).
La bidella telefona a casa. 
Accompagnata in macchina da un malcapitato vicino, la mamma, di lì a poco, arriva, scende dalla macchina e si scatena in una furiosa invettiva, colorita di turpiloquio, contro la scuola, i maestri e le maestre.
È visibilmente alterata e naturalmente noi tutti riteniamo immeritata quella sequela di insulti. La mettiamo in conto al suo stato del momento, ma dovremmo sapere che nel delirio dell'alcol, della droga, o della follia, non si materializzano fantasmi irreali, ma, se mai, sintesi inadeguate della percezione della realtà. 
C'è dunque un disagio non colto, un difetto di rapporto, il sospetto di un pregiudizio, dietro quello sfogo che ci pare ingeneroso.
Come darle torto? Vogliamo negare che a scuola, come nel resto della società, seppellita l'ascia di guerra del vietato vietare della nostra gioventù, si sia pienamente restaurata la norma, nella sua accezione più mediocre e piccolo borghese e si sia tornati allo stigma per certi stili di vita?
Bocciare, tranne in casi rari, non si boccia più, ma per il resto nulla e mutato e i bambini che vivono in certe famiglie sono imprigionati in un giudizio in cui la diagnosi e i sintomi si rincorrono, inverandosi a vicenda: non fa i compiti, non paga la mensa, arriva in ritardo ...
A sostenerci, nella ritrovata funzione di vestali della classe media, la tecnica, che per ognuno dei comportamenti che sono alla base di queste scarse performance sociali, ha un nome e una classificazione.
Ci trinceriamo, dunque, dietro l'indubitabilità della nosografia ‒  dimenticandoci del fatto che sino a pochi anni fa, nel DSM IV, il manuale diagnostico più utilizzato, l'omosessualità era classificata, con altrettanta certezza, come malattia ‒ e rivalutiamo, come scelta di civiltà, il ricorso ad assistenti sociali che dispongano il ricovero del minore in comunità.
Neppure ci accorgiamo, in questa disperata opzione del male minore, della sconfitta culturale (che è anche una sconfitta politica) che la determina: il rigetto della tradizione continentale (psicanalisi, fenomenologia) a vantaggio di un pragmatismo comportamentista anglosassone, che vede l'uomo come una macchina da far funzionare al meglio, magari attraverso addestramenti da circo equestre.
La lezione di Marcella Balconi e Giovanni Bollea: la peggiore delle mamme è sempre migliore del migliore degli istituti, è dimenticata.
Comunque sia, la famiglia di Mariolino, che lo si ammetta o no, è oggettivata in un'identità. Ma loro, soggettivamente, come si identificano?

All'inizio dell'anno, mi capita di sostituire una collega nella classe di Mariolino. All'uscita, la sua mamma non c'è. Ho un autobus da aspettare, per una buona mezz'ora , e l'abitazione di Mariolino è a pochi passi, decido di accompagnarlo io.
Lungo la strada, ci precede un gruppo di alunni marocchini che abitano nello stesso complesso di case popolari in cui vive Mariolino; sono ben organizzati, una mamma, a turno, viene a ritirare tutto il gruppo. Mi chiedo perché Mariolino, e qualche altro suo vicino di casa, non ne approfittino. La risposta, l'avrò di lì a poco.
Non appena siamo arrivati nel parchetto antistante le case, e non prima, quando i bambini marocchini, deposti gli zaini su una panchina, si disperdono di corsa a cominciare i loro giochi, Mariolino, protendendo il mento per indicarli, mi fa: «Io, quelli, non li posso vedere!»
Mi sorprende, perché a scuola, con quegli stessi bambini, ci parla e ci gioca.
Provo a chiedergli spiegazioni, ma la risposta è una serie smozzicata di frasi fatte, mal memorizzate, evidentemente riprese da un distratto ascolto dei discorsi dei grandi, il cui succo è, inesorabilmente: padroni a casa nostra.
Sul balcone di casa, il nonno attende Mariolino, è un anziano immigrato dalla Sicilia, sul suo volto, che deve essere stato illuminato da un'antica fierezza, sembra esser scesa l'ombra della sconfitta.

L'episodio si presta a una serie di considerazioni:
‒ La topologia. Mariolino non è un ipocrita, a scuola non gioca con i bambini marocchini per compiacere i maestri. Lungo tutto il percorso, pur avendoceli davanti, non ha avuto niente da ridire. La reazione scatta non appena entra in quello che ritiene il suo territorio, diverso da quello della scuola e dalla neutralità della strada. 
Ci sono dunque visioni del mondo differenti a seconda dei contesti e non c'è integrazione tra vissuti scolastici e famigliari.
‒ La reintegrazione. La famiglia di Mariolino ha uno stile di vita che si presta alla riprovazione sociale. La scuola, che dietro il paravento delle regole nasconde la costruzione di una norma di giudizio delle esistenze, è il luogo deputato al confronto. Qui la famiglia di Mariolino si sente marginale, o addirittura estranea. 
Ma nella sua dinamica interna, la famiglia tenta una reintegrazione, identificandosi, a partire dall'opposizione noi/loro, con un gruppo sociale immaginario.

Mariolino, per ora, utilizza gli spezzoni di discorso adulto che gli vengono in mente, per dare una giustificazione alle normali rivalità e aggressività della sua età. Sarebbe un peccato se diventasse un fascista per davvero.
A scuola, dove affronta con loro le stesse attività e le stesse difficoltà, gioca con i compagni marocchini, ma una volta arrivati a casa, tutti tornano a parlare la lingua materna e a chiudersi in differenti orizzonti simbolici.
Eppure è proprio lì che si consuma il crimine premeditato che porterà loro tutti a un analogo fallimento sociale. Lì, dove si trovano alle prese con compiti e lezioni che non sanno fare e per i quali le loro mamme non sono in grado di aiutarli, lì dove difficoltà linguistiche o analfabetismo di ritorno non riescono a interpretare gli avvisi sul diario, da cui dipende il rispetto delle regole e la conseguente accettazione sociale.
Mariolino e i suoi compagni di scuola immigrati hanno le stesse probabilità di abbandono scolastico e di un precoce arrivo, con nessuna qualifica, su un mercato del lavoro stagnante. La polarizzazione noi/loro, da questo punto di vista, assume ben diversi connotati.
Una sinistra che fosse di classe, e non irrimediabilmente succube dell'ideologia borghese, partirebbe da qui, mostrando chi è uguale e chi è diverso, rivendicando il ritorno a una scuola a tempo pieno, organizzando sul territorio doposcuola antagonisti. Dovrebbe tentare, insomma, di unire sui bisogni concreti e non di dividere in base ad astratte formulazioni morali.
Se c'è, quindi da fare una battaglia della cittadinanza, vogliamo che sia una battaglia per una cittadinanza effettiva e non solo burocratica, perché Mariolino e i suoi compagni di scuola immigrati siano cittadini nella stessa maniera in cui lo sono il figlio del dottore o dell'avvocato.
Di cittadinanze di serie B, non sappiamo che farcene.








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6 commenti:

  1. [mi chiedi su FB un parere meditato]Meditato mi pare una parola un po' grossa. Da un punto di vista di narrazione, lo trovo molto sentito, partecipato; coinvolgente. Vera o rielaborata la vicenda appare a flash. Poi, dietro, traspare la riflessione socio-pedagogica, politica. La vicenda, il problema, salta fuori per gradi e si delinea. Cittadinanza, ius-soli/ius-sanguinis rimangono concetti e visuali striminzite e riduttive... Ributti la questione (o forse sembra a me che mi sto interessando a qs aspetti, e ne vengo influenzato troppo) in termini più ampi, di classe. Io, in effetti, tratto e discuto queste questioni con rappresentanti di un'intelligenzia benestante, colta, laureata, che punta sul riconoscimento del proprio stato di fatto: l'unica differenza che hanno é, talvolta il colore cioccolato o abbronzato della pelle, il plurilinguismo, il ricco (doppio almeno) patrimonio culturale locale e della terra d'origine delle famiglie. Il desiderio/bisogno di riscatto, caricato e stimolato dal percorso ad ostacoli che hanno seguito, dalle materne/elementari/medie fino alla carriera universitaria... Quante volte avranno sentito dire (più o meno sottovoce nei corridoi di scuola, sul metro o chissàdove): "Si (opp.no) é di famiglia somala (o eritrea, o marocchina o peruviana....), PERO' é una ragazza perbene, studia, é colta, si comporta molto educatamente... Sì, credo sia musulmano, MA COMUNQUE é quasi come uno di noi....". Questa parte di società sommersa, che non viene considerata per davvero, rappresenta solo la punta dell'iceberg emergente... E' anche, probabilmente, quella che può condurre la lotta per il cambiamento con strumenti colti. Come la classe media e piccolo-borghese degli studenti nel '68. Il problema, credo, sia quello di riuscire a legare queste loro risorse umane, intellettuali, politiche, con le nostre di nativi del suolo, e insieme riuscire a condurre azioni paganti e efficaci in sintonia con le masse di immigrati proletari, che parlano il linguaggio di classe, magari con l'accento straniero... Quelli, per intenderci, che hanno dato vita nel marzo 2010 allo "sciopero dei migranti" e alla splendida manifestazione di Milano. Ma ora mi sono un po' perso, tangenzialmente. Il tuo scritto mi piace e lo trovo pregnante ed efficace. Permetti che lo linki a qualche testata tipo: STRANIERINITALIA, YALLA, RIGENERAZIONI... (son molte e ora non le ricordo tutte)? Ovviamente se lo ritieni già concluso (non da rivedere o ritoccare), e, naturalmente a tuo nome. Grazie per la stima...e spero di non aver detto cazzate...!

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  2. Inserisco commenti giunti altrove:

    Maicol Pozzi
    Penso che molto probabilmente il problema non si risolverà in poco tempo, c'è un problema sociale molto grande, si cerca di pensare/sperare di divenire ricchi e staccarsi dai "loro" perchè si invidia la borghesia e il ricco, ed il ricco schifa il povero solo che di nuovo il povero o si si vuole il proletario (se ha ancora un senso questa parola) invidia chi ha una posizione sociale più elevata della propria e probabilmente non discriminando, secondo me, l'immigrato in quanto tale ma discriminando tra ricco e povero se la prendono con chi ha meno possibilità di riuscire nella vita, emarginandolo in una lotta tra emarginati che porta alla distruzione individuale e sociale, con il Mariolino di turno che non riuscirà a studiare ed a integrarsi con gli altri bambini, con i "marocchini" che a loro volta non riusciranno ad integrarsi e sopratutto con dei proletari che vergognandosi della loro posizione sociale ne usciranno disintegrati e soli contro chi ride sempre...i ricchi

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  3. Gianmario Moggia
    Lo trovo un link molto interessante, che descrive la situazione nella sua cruda realtà. Ho sempre pensato che il razzismo è un sentimento becero e ignorante e che serve solo a dividere gli esseri umani, una guerra tra poveri insomma. Un sentimento instillato dal potere per dividere, appunto, e imperare.

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  4. Andrea Baglions
    Lo condivido solo in parte...
    Sicuramente condivido e lavorerei per una sinistra che tornasse a quel valore di socialità che ora invece là dove è forte fa casa pound con il doposcuola italiano dividendo ancora di più la popolazione
    Ma non ti condivido quando evidenzi il problema adducendo quasi come colpa la maggiore integrazione dei marocchini fra loro una mamma li porta tutti a casa
    se mai la colpa è della famiglia di mariolino che se invece di riempire la testa del figlio di cazzate partisse dal riconoscersi proletaria tale e quale alla famiglia dei vari mohammed allora chiederebbe senza problemi alla mamma fatima di portare a casa anche mariolino evitando sfuriate e insulti a dei lavoratori ( voi personale scolastico )
    secondo se il bimbo a scuola ci interagisce se nel percorso li tollera ma nel cortile li rifiuta non è la presenza del nonno al balcone che lo condiziona ?
    dare un diritto ai tanti mohammed ..musthafa... fatima non toglie certo diritti ai vari mariolino anzi più una società è garantita più cresce forte.
    cazzo ma non capiamo che parcellizzando la guerra dei diritti andremo verso l'individualismo facciamo della lotta per la cittadinanza giusta e legittima di mohammed la lotta di mariolino e vedremo che creeremo anche una società futura dove a mariolino e mohammed gli sembra giusto naturale lottare insieme per la casa popolare .. i diritti in fabbrica
    non ci rendiamo conto che dietro la logica prima gli italiani c'è l'immobilismo non più una palazzina popolare viene costruita... non più un asilo infantile ..non più un nido .. e se poi la gente reclama ecco la risposta sfogati con lo straniero che ti ruba il posto ....e no ! io con l'immigrato mi coalizzo e insieme veniamo a romperti i vetri della iacp se non costruisci case .. veniamo in comune a spaccare tutto per avere nuovi asili insieme non ancorati dietro le frasi padroni a casa nostra solo per sentirsi finalmente padroni di qualcosa ...
    Il razzismo è un sentimento provato dal popolo ma instillato dalla borghesia a chi fa comodo la lega nord ?
    a chi ha fatto comodo spostare il concetto l'unione fa la forza da classe sociale a territorio a radice culturale ?
    tu hai postato la foto di un capitalista e di un raccoglitore di arance dicendo hanno gli stessi problemi solo perché neri ?
    OVVIAMENTE NO ..
    ma io ti dico abbiamo più cose in comune noi novaresi proletari con un muratore senegalese che non ce la fa ad arrivare a fine mese ..una magrebina di un impresa di pulizie o con il figlio del Boroli novarese e bianco come noi ?
    allora perchè non devo lottare perché il mio vicino di casa parta dai miei stessi diritti base ?
    Se è meno ricattato ...se è meno schiavo... perché al lavoro è legato il suo soggiorno in italia o la sua permanenza o meno come regolare sarà più probabilmente al mio fianco anche nelle battaglie contro i mille figli dei boroli
    se poi non lo sarà ( perchè non è certo automatico ) allora potrò dargli del crumiro a cuor leggero
    ma fino a quando lui mi dirà se io sciopero e mi licenziano io non perdo solo il lavoro ma il futuro per tutta la mia famiglia perché mi rimpatriano sulla sua debolezza costruiscono anche la mia sconfitta !
    se non si disarticola il legame lavoro permesso di soggiorno si creano masse di schiavi che indeboliscono tutta la classe operaia solo lottando insieme per i diritti si potrà creare la nuova massa di lavoratori uniti per affrontare le nuove battaglie e riconquistare diritti sul lavoro
    La lega nord sarebbe il mio obbiettivo ideale se non ci fosse la galera ...perché i padroni ci sono sempre stati i fascisti anche ma fino a che non arrivano loro a spaccare la solidarietà nei quartieri ..nelle fabbriche ..a far notare le differenze invece delle cose che ci univano si riusciva a sopravvivere dopo il loro arrivo il loro insediamento ..il loro odio che ha germogliato è cominciato il declino

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  5. Ilaria Kanyana Buscaglia
    E' un punto di vista molto interessante. Nella questione dello ius soli ci sono però vari livelli. Quello delle strumentalizzazioni politiche, quello descritto nell'articolo, ma anche quello dei corpi intermedi delle associazioni di migranti e seconde generazioni che, almeno nei casi da me direttamente conosciuti, non nascono al servizio del potere politico, ma possono saldarsi ad esso in un secondo momento quando gli interessi sporadicamente coincidono (spesso, ne convengo, per fini elettorali, ma talvolta si chiude un occhio, specie se la propria battaglia riesce a ottenere una certa visibilità). Credo anche io che ci sia da riflettere in termini molto più complessi sulla questione (e come antropologa non faccio altro) ma non riesco ugualmente a non appoggiare un primo passo "burocratico" in questa direzione. Grazie per la segnalazione, è davvero un contributo prezioso.

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  6. Claudio Compagno Arena
    E' davvero un bel testo! Per certi versi ho letto cose che nel contesto di quella sinistra nata dalla questione di classe potrebbero sembrare "scontate", salvo accorgersi, leggendo, che effettivamente non si pensano più. Metterei, comunque e solo per inciso, come un dato di fatto che l'aspetto burocratico dello ius-soli sia quanto meno un piccolo passo positivo dopo decenni di lavaggio del cervello (persino in quella sinistra borghese di cui parli) e invettive di una destra becera e meschina e forse il massimo che oggettivamente e lucidamente si potrà cercare di ottenere con un Governo e un Parlamento così composto...
    Ora, io di pedagogia e basamenti teorici della psicologia non ne capisco molto, quindi penso che tutto quello che potrei dire sarebbe buffo o goffo... Non conosco neanche l'identità politica che va per la maggiore all'interno delle scuole.
    Pare però di percepire anche nel quotidiano l'atteggiamento saccente e di supposizione di quello che nell'immaginario rappresenta l'insegnante di sinistra imborghesito.
    Quello che (io lo ricordo da quando ero bambino) dice "signora, se lei non capisce quello che scrivo è un problema suo".
    Estremizzando un po', faccio difficoltà a capire se ad integrarsi per primo deve essere il bambino extracomunitario, quello italiano che vive in condizioni disagiate, la famiglia di quest'ultimo o l'insegnante che spesso perde la bussola di quello che dovrebbe essere il proprio compito nei confronti dei bambini e della società.
    Mi pare di vedere anche qualcos'altro che va oltre la scuola, però. Il ghetto. Un posto dove oggettivamente non so cosa la la scuola possa fare, forse può lavorare con "doposcuola antagonisti" o iniziative che tendano ad unire "moralmente" ragazzi di diverse etnie o condizioni sociali, ma con gli stessi o almeno simili problemi.
    Un bel problema che ostacola una vera integrazione non solo tra "razze" diverse, ma anche tra diverse classi sociali è proprio il ghetto. Zone, quartieri, appezzamenti dove le istituzioni e la borghesia favoriscono l'ammassarsi di persone con mille problemi espressi con lingue diverse. Prima nei quartieri popolari si ammassavano i meridionali, ora si ammassano i meridionali con gli extra-comunitari e oltre ai problemi di comunicazione si creano ad hoc problemi di identità immaginarie che si combattono all'interno di questi territori dando vita a delle vere e proprie guerre tra poveri senza alcun senso.
    Questo avviene per un tornaconto elettorale, per la meschinità di politiche che pensano di concentrare il problema in una nicchia così da poterlo controllare meglio, ma anche (non veltroniano), molto importante, per una forte lotta di classe del "borghese" nei confronti delle persone con più problemi e di vario genere.
    La scuola, ma forse è meglio parlare degli insegnanti che si ritengono di sinistra, magari di quella sinistra che nel '68 riusci ad unire studenti e lavoratori, avranno certamente la propria parte di responsabilità nel mettere fine alla guerra tra razze del futuro e costruire porre le basi per una più giusta lotta a chi mantiene lo stato delle cose in questo modo.
    Se riuscirà a mettere da parte i dogmi per cui si etichetta il problema senza analizzarlo, a togliere quella puzzetta da sotto il naso e utilizzerà la propria cultura non per creare delle "macchine che funzionino perfettamente", ma delle macchine che pensano in modo perfetto, rendendole protagoniste e non solo vittime della situazione, sicuramente darà il proprio contributo ad affrontare una vera integrazione che dovrà inevitabilmente partire dal combattere la lotta di classe ai borghesi..

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