Cause
e rimedi della dislessia: le evidenze scientifiche nell'informazione
quotidiana.
La prima
volta che un lettore del quotidiano torinese La Stampa
si imbatte nel termine dislessia,
entrato in letteratura medica sin dal 1890, è solo l'8 ottobre 1963.
Nell'articolo Vista e udito degli scolari,
il professor Angelo Viziano, nel sottolineare l'utilità degli esami
audiometrici per individuare disturbi dell'udito che possono essere
alla base dell'insuccesso scolastico, lamenta il fatto che tali
accertamenti non sono in grado di segnalare quella turba
particolarmente leggera che si ritiene provocare gravi
difficoltà nell'apprendimento della lettura, perciò detta
dislessia1.
La
dislessia sembra dunque riconducibile a un difetto uditivo, a tal
punto che il professor Viziano dà questo nome al deficit uditivo che
la determinerebbe.
Nel
dicembre 1966, una lettera al giornale palesa il cruccio di una
madre, il cui figliolo, per quanto si applichi diligentemente,
risulta sempre l'ultimo della classe.
Chi
le risponde, celato dietro lo pseudonimo il dottor X,
enumerando le differenti cause
dell'insuccesso scolastico, cita anche, come disturbi rari, la
dislessia e la
disortografia, ma non
spiega in cosa consistano2.
Lo
stesso anonimo dottore tornerà sullo stesso argomento un paio d'anni
dopo, ricordando che a determinare un ritardo nell'apprendimento
basta una miopia, un ambliopia, un insospettato deficit
dell'udito, un anche minimo disturbo della lettura (dislessia) o
della scrittura (disortografia)3.
Per
il dottor X, dunque, dislessia e disortografia sono disturbi
specifici e non hanno niente da vedere con i deficit
dell'udito.
Passa
molto tempo, prima che si torni a parlare di dislessia sulle colonne
del giornale torinese, lo fa Aida Ribero4,
che prova ad elencarne le cause – molteplici e per certi aspetti
poco chiare – sulle quali si confrontano punti di vista
radicalmente diversi.
Veniamo
così a sapere che alcuni studiosi imputano il problema a cause
ereditarie o congenite, altri a difetti nell'orientamento spaziale,
altri ancora a una difettosa lateralizzazione imputabile a mancinismo
contrastato. Nelle sue conclusioni la Ribero richiama l'attenzione
sull'atteggiamento dell'orientamento psicoanalitico che mette queste
anomalie sul conto dei disturbi della sfera affettiva, endemici nelle
famiglie socioeconomicamente marginali.
Nell'ottobre
1982 si dà notizia delle conclusioni a cui è giunto, dopo una
ricerca durata oltre quindici anni, e sviluppatasi tra il MIT di
Boston e l'Università di Harvard, il neurologo Norman Geshwind5.
Geshwind,
assodata statiscamente la correlazione tra predominio dell'emisfero
cerebrale destro, mancinismo, e dislessia, ne ha individuato in un
eccesso di produzione di testosterone la probabile causa.
In
meno di vent'anni, quindi, la causa dei DSA è stata individuata, da
prima in un deficit sensoriale, poi in una serie di cause in cui
sembra prevalere l'aspetto relazionale, infine in un fattore
ormonale.
Non
è, naturalmente, finita qui. L'anno successivo, si tiene un
congresso internazionale ad Andora. Sintetizzando gli
interventi, il cronista ci informa che la dislessia è la
difficoltà di leggere, accompagnata da disturbi motori e alterazione
intellettiva localizzata nelle zone cerebrali del linguaggio6.
Il
testosterone sembrerebbe essere rapidamente uscito di scena, ma
qualche mese dopo, un nuovo articolo ci avverte che le tesi di
Geshwind sono ancora in auge7.
L'attento
e fedele lettore del quotidiano torinese, comunque, non ha avuto, fin
qui, ragioni di dubitare che la vista potesse essere in qualche modo
implicata nel problema della dislessia, ma, altrove, qualcuno
evidentemente doveva averlo fatto.
Infatti,
nel luglio 1984, tre importanti associazioni americane, l'Academy of
Ophtalmogy, l'Academic of Pediatrics e l'Association for Pediatric
Ophtalmogy & Strabismus, sentono il bisogno di smentire
ufficialmente ogni legame tra disturbi della vista e dislessia.
Secondo le autorevoli associazioni, il disturbo andrebbe ascritto a
danni cerebrali o a privazioni ambientali. La notizia è confinata in
un trafiletto, ma deve essere importante, infatti, a distanza di un
anno, viene ribadita8.
Un
mese più tardi, Irene Vernero, logopedista dell'Università di
Torino, fa il punto della situazione. I disturbi dovrebbero allora
dipendere: da alterazioni neurologiche organiche cerebrali, da
disabilità sensopercettive, da disabilità di coordinazione di
movimenti complessi fini (disprassie), da turbe di relazione
interpersonale di tipo affettivo o culturale9.
Lo
scenario sembra dunque cambiato, ma La Stampa, di lì a poco,
torna a riaffermare l'attualità dell'ipotesi di Geshwind10.
L'idea
che se ne fa, a questo punto, il lettore, è che sulle cause della
dislessia ci sia quantomeno una bella diversità di vedute, cosa che
dovrebbe indurre alla prudenza. È,
quindi, con sgomento che apprende della sperimentazione di farmaci
nootropici su bambini dislessici11.
Sulla
questione non poteva però mancare il punto di vista popolare, così
sul Colle della Maddalena, complice la tradizionale penuria di
notizie d'agosto, si tenta un'improbabile correlazione tra dislessia
e inquinamento elettromagnetico12.
Ma
la scienza vera incalza, un trafiletto dà notizia di una ricerca
pubblicata dal British
Medical Journal,
questa volta la causa del disturbo è individuata in una carenza di
zinco della madre, durante la gravidanza13.
Siamo
così arrivati agli anni '90, l'alimentazione è un mantra, e non
stupisce, perciò, l'affermazione del pediatra londinese Michael
Tettenborn, il quale, sulla base dello studio di 400 casi di DSA, è
giunto alla conclusione che l'unico rimedio alla dislessia consiste
nella dieta. Convincente, anche, quando aggiunge che i maschi sono
più esposti delle femmine ai disordini alimentari pronubi di
disturbi d'apprendimento, un po' meno quando ci informa che i biondi
sono più a rischio dei bruni14.
Nella
gran confusione, di una cosa eravamo comunque certi (l'informazione
era stata data per ben due volte), ossia che l'unico apparato
insospettabile di aver responsabilità nella formazione di disturbi
dell'apprendimento fosse quello della vista. Orbene, un subdolo
trafiletto, il 3 di ottobre del '91, ci smentisce: un
gruppo di neurologi dell'università di Harvard dimostrano (sic)
che all'origine della dislessia c'è un disturbo della vista e non –
come si è sempre creduto (ma
da quando?) – del
linguaggio. Non basta,
con delle banali lenti a contatto colorate – incalza il trafiletto
– si sarebbero già risolti l'80% dei casi trattati15.
Qualche
mese dopo la situazione cambia ancora: in un'intervista, rilasciata
al quotidiano, il dottor Fabio Beatrice, otorinolaringoiatra del
policlinico torinese, richiama l'attenzione sul fatto che
nel bambino costretto a vivere in un ambiente rumoroso si determina
un ritardo nell'apprendimento del linguaggio, fino a casi estremi di
dislessia...16.
Era
l'orecchio, accidenti! Come nel gioco dell'oca, dopo un giro durato
trent'anni, eccoci tornati alla casella di partenza.
Ma
non ci restiamo a lungo, alla fine dell'anno, un flash d'agenzia ci
ricorda che la dislessia, come
recentemente dimostrato, è
provocata da un disturbo della vista17.
Vista
o udito, sembrerebbe che ci si stia orientando verso il deficit
sensoriale, ma a guastar la festa interviene uno dei più autorevoli
esponenti della psicoanalisi internazionale , Serge Lebovici, il
quale non ha dubbi: anche la dislessia è legata alla personalità
del bambino e al contesto familiare, non, dunque, di deficit
sensoriale, si tratta, ma di problema psicologico18.
A
rimescolare le carte ci pensa l'équipe del professor G. F. Eden al
National Institute of Mental Ealth di Washington, che armeggiando con
la risonanza magnetica funzionale (fMRI), giunge a conclusioni
inequivocabili: il disturbo è dovuto a un doppio difetto, visivo e
fonologico, a cui probabilmente si deve aggiungerne uno uditivo19.
Tout se tient.
A
questa definitiva acquisizione si aggiunge un efficace strumento
diagnostico, la chiromanzia. Una serie di studi ha infatti dimostrato
che un attento esame delle linee della mano e dei polpastrelli
permette di individuare con certezza: schizoidi, schizofrenici,
borderline, autistici, omosessuali e, naturalmente, dislessici20.
Finisce
il secolo e arrivano le novità. Si diffonde il metodo che il dottor
William Horatio Bates ha messo a punto, per la verità, nel 1919 e
che consiste in una serie di esercizi che dovrebbero correggere,
senza ricorrere a lenti correttive, molti difetti della vista. Il
metodo, tempestivamente messo in atto, può prevenire la dislessia,
eliminando quelle difficoltà di messa a fuoco che costringono il
piccolo lettore a saltare le righe21.
Era, dopotutto, un problema banale.
Ci
sentiamo comunque abbastanza rassicurati, giacché nel secolo XXI la
ricerca sembra ormai decisamente orientata a confinare in ambito
sensoriale l'eziologia del disturbo, quand'ecco che – fulmine a
ciel sereno – un inserto redazionale di propaganda a una linea di
prodotti nutrizionali ci scaraventa indietro di un decennio:
autorevoli pareri accademici, ipotizzano infatti l'efficacia degli
acidi grassi polinsaturi nel trattamento di alcuni
disturbi del comportamento (disordine da deficit di
attenzione-iperattività o ADHD, dislessia)22.
Non solo riappare improvvisamente la tesi nutrizionista,
contemporaneamente la dislessia finisce anche catalogata tra i
disturbi di comportamento.
È
un autentico colpo basso, che annienta tutte le nostre certezze. Ma
per poco, la settimana successiva, infatti, apprendiamo, con un certo
sollievo, che la dislessia è un disturbo neurologico su base
genetica, complicato anche da qualche fattore culturale (opacità o
trasparenza delle lingue)23.
Siamo
in pieno postmoderno, e il remake
è moneta corrente,
non ci stupiamo, quindi, se, all'improvviso – ma anche in questo
caso abbiamo a che fare con un inserzione pubblicitaria –
ricompaiono quelle lenti a contatto colorate che avevano risanato
l'80% dei dislessici di Harvard del 1991.
La
storia, come nella tradizione delle leggende metropolitane, presenta
leggere varianti, questa volta a prescrivere le lenti è l'oculista
inglese David Harris, il campione sottoposto alla prova è di 47
(quarantasette) pazienti, la percentuale di successo del 15 %
(quindici per cento). Padre Pio avrebbe fatto molto meglio.
L'insolita,
e poco convincente, terapia si basa, ovviamente, su un ipotesi
teorica, secondo la quale la
dislessia dipenderebbe da difetti a livello di quelle cellule nervose
che collegano la retina al centro ottico del cervello24
Nel
novembre 2003 Ezio Giacobini ricicla in gran parte quanto aveva
scritto, nel 1996, a proposito dell'impiego della fMRI nelle ricerche
sulla dislessia, ma dà anche notizia di una ricerca genetica,
avviata all'università di Helsinki, un filone di indagine che si
prospetta interessante25.
La
natura neurologica (disturbo congenito a base neurologica
associato a specifiche difficoltà nel linguaggio)26
e la trasmissione genetica27
dei DSA sembrano ormai assodate. E siamo all'oggi.
Pur
nella necessaria sommarietà della divulgazione, le cronache
giornalistiche hanno dato conto, nel corso degli anni, della reale
dialettica delle ipotesi scientifiche sull'argomento. Naturalmente
ogni tesi affacciatasi nel dibattito ha reclamato, pro tempore, tutti
i crismi dell'evidenza scientifica.
All'insegnante
desideroso di aggiornarsi su un argomento cruciale per il suo
mestiere non saranno mancate perplessità, a fronte dei bruschi
voltafaccia, ordini e controordini della teoria.
Del
resto, a lui dell'eziologia della dislessia poco dovrebbe importare,
imperativo, invece – e su questo, sin dai primi articoli, le
cronache non si smentiscono mai – non confondere il dislessico con
un lazzarone.
Per
questo voglio concludere con un ultimo articolo, estremamente
edificante:
Adenoidi
scambiate per dislessia
Una
mamma lacerata dal dubbio che la propria figlia, secondo l'opinione
delle maestre, possa soffrire di dislessia, poi una serie di
controlli che escludono il disturbo: il problema era una conseguenza
dell'intervento alle adenoidi. Ma le ferite per quei giudizi
affrettati non si rimangiano facilmente. Così la donna ha presentato
un esposto alla Procura della Repubblica «per
abuso psicologico»28.
Dove,
per «per
abuso psicologico» si
intende, certamente, eccessivo uso della psicologia.
NOTE
1Angelo
Viziano, Vista e udito degli
scolari, in «La
Stampa», 8 ottobre 1963, pag. 11.
2Il
dottor X, Il mio bambino studia e si applica, ma è sempre
l'ultimo della classe, in «La
Stampa», 4 dicembre 1966, pag. 13.
3Il
dottor X, Quando il bimbo prende brutti voti, in
«La
Stampa», 19 ottobre 1968, pag. 15.
4Aida
Ribero, Quando il bimbo confonde alcune lettere dell'alfabeto, in
«La
Stampa», 21 settembre 1976, pag. 11.
5Gianni
Mancassola, Un ormone sessuale fa diventare mancini? in
«Tuttoscienze»,
20 ottobre 1982, pag. 4.
6g.
m. , La cura della dislessia in un convegno a Andora, in
«La
Stampa», 19 aprile 1983, pag. 19.
7Ezio
Giacobini, Perché la natura non ha fatto l'uomo
simmetrico, in «Tuttoscienze»,
29 febbraio 1984, pag. 1.
8Nuove
tesi sulla dislessia, in
«Tuttoscienze»,
4 luglio 1984, pag. 4. Dislessia
quali cause, in
«Tuttoscienze», 29 maggio 1985, pag. 4.
9Irene
Vernero, Difficoltà di lettura non sempre è dislessia,
in «Tuttoscienze»,
26 giugno 1985, pag. 4.
10Daniel
Goleman, Dalla mamma sotto stress nasce un figlio mancino,
in «Tuttoscienze»,
30 ottobre1985, pag. 4.
11Ezio
Minetto, Se spunta il vuoto di memoria, in
«La
Stampa», 27 aprile 1986, pag. 9.
12m.
sp. , Una foresta di antenne TV e c'è chi teme la sterilità,
in «Stampasera»,
3 agosto 1987, pag. 4.
13Dislessia
e deficit di zinco, in
«Tuttoscienze»,
22 giugno 1988, pag. 4.
14Marina
Verna, Bimbi cattivi? È colpa della dieta,
in «La
Stampa», 10 agosto 1991, pag. 14.
15Pillole,
in «Stampasera»,
3 ottobre 1991.
16Daniela
Daniele, Già nell'utero il gran baccano ci guasta l'udito,
in «Stampasera»,
12 marzo 1992, pag. 14.
17Adnkronos,
Dickens scoprì la dislessia,
in «La
Stampa», 22 dicembre 1992, pag. 16.
18Isabelle
Groc, Mandateli sui banchi solo all'età giusta,
in «La
Stampa», 16 giugno 1993, pag. 11.
19Ezio
Giacobini, Il disturbo che confonde le sillabe,
in «Tuttoscienze»,
27 novembre 1996, pag. 1.
20Marco
Pacori, In palmo di mano, in
«Tuttoscienze»,
4 agosto 1999, pag. 1.
21Irene
Cabiati, La ginnastica che fa bene agli occhi,
in «La
Stampa», 28 aprile 2001, pag. 47.
22Nutricia,
integratori per il benessere,
in «La
Stampa», 19 luglio 2001, pag. 6.
23Ezio
Giacobini, L'inglese provoca la dislessia?,
in «Tuttoscienze»,
25 luglio 2001, pag. 3.
24La
seduzione parte dagli occhi, in
«La
Stampa», 4 aprile 1993, pag. 74.
25Ezio
Giacobini, Le sorgenti occulte della dislessia,
in «Tuttoscienze»,
5 novembre 2003, pag. 3.
26Barbara
Gallavotti, Più dislessici in Inghilterra che in Italia,
in «Tuttoscienze»,
28 luglio 2004, pag. 3.
27Martina
Costa, La “malattia” dei geni, in
«Torinosette»,
11 febbraio 2005, pag. 100.
28Adenoidi
scambiate per dislessia, in «La
Stampa», 13 ottobre 2005, pag. 37.
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