La
borghesia fa da sé
Leggo
questa lettera su un blog di homeschooler
nazionali,
il movimento di chi sceglie l'educazione parentale, in alternativa
alla scuola pubblica.
È
un movimento che riflette palesamente la tendenza della borghesia a
ritenersi centro del mondo e misura di tutte le cose.
La
cosa è nata in America, sulla spinta delle sette più
fondamentaliste che temono, a ragione, che nella scuola pubblica si
leggano altri libri, oltre alla Bibbia.
Malgrado
i poco nobili natali, il movimento dell'homeschooling
incassa,
qui da noi, qualche gradimento a sinistra, nell'ottusa convinzione
che ogni scontento sia un oppositore e ogni cosmopolitismo un passo
avanti verso l'internazionalismo.
Leggiamo
le ragioni che hanno indotto Asya a scegliere questa soluzione, ne
valutiamo la serietà e fin d'ora ci complimentiamo con il senso di
responsabilità dei suoi genitori.
Ho
tredici anni,
mio papà è italiano ma sono madre-lingua inglese. A scuola, a
volte, non capivo quando spiegava la maestra anche se cercavo di
stare attenta.
Il
papà deve essere molto impegnato, se in tredici anni non è riuscito
a insegnare la sua lingua alla bambina. Ora, evidentemente desideroso
di farle riguadagnare il tempo perduto, la tiene a casa da scuola, e,
immaginiamo, chiederà il part time per insegnarle l'italiano, perché
si suppone che la madre non lo sappia fare (o finora non lo ha fatto
per scelta?). Un'alternativa è che la famiglia ritenga se non
commendevole, lecito, che si possa risiedere e crescere in Italia,
ignorandone la lingua.
Questa
bambina madrelingua inglese, che ha come hobby l'equitazione, ci fa
venire in mente i tanti bambini madre e padrelingua araba, wolof,
indi, cinese e kormanci che affollano le nostre aule scolastiche.
Debbo onestamente dire che, se ci fosse l'obbligo di scegliere, sarei
contento di tenermi questi e di rinunciare alla piccola amazzone.
Mi
distraevo spesso quando i compagni sussurravano o mi facevano passare
bigliettini e poi mi disperavo perché avevo perso il filo del
discorso della maestra e magari si arrabbiava pure con me.
Di
bimbi come questa, ce n'è a valanghe: non sono mai loro a far
qualcosa, è sempre un altro che ha cominciato.
Nella
mia classe, li gratifico di un castigo triplo, perché la
responsabilità di ogni atto è personale, perché ignorano l'utile
precetto evangelico del fuscello e della trave, ma soprattutto perché
non sono originali e sanno solo imitare.
Inoltre
mi annoiavo perché non avevo fatto molta amicizia con i compagni di
scuola: io, infatti, ero (e sono ancora) un po’ timida! Preferisco
stare con i miei cari amici più che stare con i ragazzi della
classe. [in
neretto nel testo].
Disdicevole,
lo ammettiamo, che nella scuola pubblica uno non si possa portare gli
amici da casa, ma siamo sicuri che tenere la piccola Asya ben
ovattata nel suo rassicurante piccolo mondo familiare sia la strada
migliore per farle superare i suoi problemi?
Mi
spiace sinceramente, per questa bambina, costretta dalla scelta dei
genitori a crescere sotto una campana di vetro, ma il compiacimento
con cui gli homeschoolers ne
pubblicano la lettera è fonte, per me, di viva soddisfazione.
Da
un ventennio la borghesia nostrana si dà da fare per ridisegnare la
scuola e modellarla al proprio uso e consumo.
Ma
se ci sono iniziative come queste, vuol dire che ancora non c'è
riuscita del tutto.
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