sabato 22 dicembre 2012
venerdì 21 dicembre 2012
homeschools
La
borghesia fa da sé
Leggo
questa lettera su un blog di homeschooler
nazionali,
il movimento di chi sceglie l'educazione parentale, in alternativa
alla scuola pubblica.
È
un movimento che riflette palesamente la tendenza della borghesia a
ritenersi centro del mondo e misura di tutte le cose.
La
cosa è nata in America, sulla spinta delle sette più
fondamentaliste che temono, a ragione, che nella scuola pubblica si
leggano altri libri, oltre alla Bibbia.
Malgrado
i poco nobili natali, il movimento dell'homeschooling
incassa,
qui da noi, qualche gradimento a sinistra, nell'ottusa convinzione
che ogni scontento sia un oppositore e ogni cosmopolitismo un passo
avanti verso l'internazionalismo.
Leggiamo
le ragioni che hanno indotto Asya a scegliere questa soluzione, ne
valutiamo la serietà e fin d'ora ci complimentiamo con il senso di
responsabilità dei suoi genitori.
Ho
tredici anni,
mio papà è italiano ma sono madre-lingua inglese. A scuola, a
volte, non capivo quando spiegava la maestra anche se cercavo di
stare attenta.
Il
papà deve essere molto impegnato, se in tredici anni non è riuscito
a insegnare la sua lingua alla bambina. Ora, evidentemente desideroso
di farle riguadagnare il tempo perduto, la tiene a casa da scuola, e,
immaginiamo, chiederà il part time per insegnarle l'italiano, perché
si suppone che la madre non lo sappia fare (o finora non lo ha fatto
per scelta?). Un'alternativa è che la famiglia ritenga se non
commendevole, lecito, che si possa risiedere e crescere in Italia,
ignorandone la lingua.
Questa
bambina madrelingua inglese, che ha come hobby l'equitazione, ci fa
venire in mente i tanti bambini madre e padrelingua araba, wolof,
indi, cinese e kormanci che affollano le nostre aule scolastiche.
Debbo onestamente dire che, se ci fosse l'obbligo di scegliere, sarei
contento di tenermi questi e di rinunciare alla piccola amazzone.
Mi
distraevo spesso quando i compagni sussurravano o mi facevano passare
bigliettini e poi mi disperavo perché avevo perso il filo del
discorso della maestra e magari si arrabbiava pure con me.
Di
bimbi come questa, ce n'è a valanghe: non sono mai loro a far
qualcosa, è sempre un altro che ha cominciato.
Nella
mia classe, li gratifico di un castigo triplo, perché la
responsabilità di ogni atto è personale, perché ignorano l'utile
precetto evangelico del fuscello e della trave, ma soprattutto perché
non sono originali e sanno solo imitare.
Inoltre
mi annoiavo perché non avevo fatto molta amicizia con i compagni di
scuola: io, infatti, ero (e sono ancora) un po’ timida! Preferisco
stare con i miei cari amici più che stare con i ragazzi della
classe. [in
neretto nel testo].
Disdicevole,
lo ammettiamo, che nella scuola pubblica uno non si possa portare gli
amici da casa, ma siamo sicuri che tenere la piccola Asya ben
ovattata nel suo rassicurante piccolo mondo familiare sia la strada
migliore per farle superare i suoi problemi?
Mi
spiace sinceramente, per questa bambina, costretta dalla scelta dei
genitori a crescere sotto una campana di vetro, ma il compiacimento
con cui gli homeschoolers ne
pubblicano la lettera è fonte, per me, di viva soddisfazione.
Da
un ventennio la borghesia nostrana si dà da fare per ridisegnare la
scuola e modellarla al proprio uso e consumo.
Ma
se ci sono iniziative come queste, vuol dire che ancora non c'è
riuscita del tutto.
mercoledì 19 dicembre 2012
sabato 15 dicembre 2012
struzzi e zanzare
Troppo
spesso, con impropria logica da pay tv, si
riflettono sulla scuola tristi echi di cronaca, in seguito ai quali
si reclamano estemporanee programmazioni di educazione civica, o
stradale, o sanitaria, o alimentare.
Soprattutto
in campo etico-morale, le famiglie sembrano ormai esentate dal dovere
di formazione dei figli che passa – con unità didattiche ad
hoc – alla scuola.
Ma non è così che
funziona: precetti, comandamenti, proibizioni – da che mondo è
mondo – soprattutto se trasmessi da un'istituzione per molti versi
invisa, si trasformano inevitabilmente nel catalogo delle cose di
cui, prima o poi, è assolutamente indispensabile fare esperienza.
Per stemperare la
propensione naturale all'egoismo, alla prepotenza, al soddisfacimento
immediato dei bisogni, occorrerebbe tutt'un'altra scuola, dove, ad
esempio, la collaborazione fosse incentivata più della competizione.
Una scuola che forse c'è stata, ma che non c'è più.
Quando, però, come
recentemente, un adolescente si suicida, la scuola va giustamente
interrogata. E non solo perché proprio fra i banchi possono essere
maturate le circostanze che hanno indotto l'estremo gesto, ma
soprattutto perché sgomenta il fatto che in un luogo tanto centrale
della sua esistenza, un ragazzo non abbia trovato nessuno con cui
condividere la propria disperazione.
Sarebbe però sbagliato
individuare il rimedio in un maggior dialogo tra insegnanti e alunni.
A parte il fatto che tale modello pretesco mal si concilia con
l'organizzazione attuale, basata sulla lezione frontale, è in ogni
caso evidente che per tale via ben difficilmente si riuscirebbe a
scalfire la scorza che protegge l'affettività dolente di chi è
seriamente in situazione problematica.
Ma,
a saperlo usare, c'è un'altro modello di comunicazione,
assolutamente di routine
e che coinvolge tutti. È
ben noto che episodi, talmente conturbanti da essere seppelliti come
colpe segrete, emergono talvolta anche nel disegno, apparentemente
banale, eseguito a commento di una favola.
Qualche giorno fa, un
insegnante francese, ha chiesto ai suoi alunni di terza media di
immaginarsi candidati al suicidio e di scrivere la loro lettera
d'addio.
Se un simile componimento
fosse stato assegnato, a tempo debito, al liceo Tasso, un'eccessiva
identificazione o, al contrario, un troppo vigile distanziamento,
avrebbero potuto suonare come campanelli d'allarme.
Per intanto, il
professore d'oltralpe è sospeso dal servizio; a quanto pare, di
certe cose non bisogna parlare.
Questa, la ragione, un
tabù: in Europa e nel XXI secolo.
C'è
naturalmente chi cerca di mimetizzarlo in un'apparente critica
didattica: l'insegnante non avrebbe affrontato preventivamente
l'argomento con i suoi alunni. Bravo merlo! Se
il testo, da narrativo, diventa argomentativo, il conformismo prevale
e all'insegnante viene restituito, più o meno bene, ciò che egli
stesso ha detto.
Non mistifichiamo,
dunque, si propone la politica dello struzzo.
E
viene in mente l'episodio della Zanzara,
il giornalino scolastico per cui si chiamarono i gendarmi. Aveva
parlato di sesso, argomento out,
anche se le ragazzine restavano incinte a quindici anni.
L'AIDS si è diffuso
soprattutto col silenzio, ma la paura che siano le parole, ad essere
contagiose, resta patrimonio delle società arretrate e dei ceti
sociali più retrivi.
Ciò
non sorprende, disgusta invece che le autorità preposte, in nome di
una customer satisfaction che
andrebbe lasciata ai supermercati, siano sempre pronte a mettere in
forse una cosa seria come la libertà di insegnamento, sull'onda di
spinte umorali, tanto plebiscitarie, quanto culturalmente
inconsistenti.
A queste pavide
burocrazie ministeriali vanno addebitate molte responsabilità del
rapido attecchimento di quel germe populista, altrove esecrato.
domenica 2 dicembre 2012
luoghi
Sarmede paese delle favole
Ogni
anno, per lo più nel mese di dicembre, si svolge a Sarmede, in
provincia di Treviso, la Mostra
Internazionale dell'Illustrazione per l'Infanzia.
A parteciparvi sono abitualmente i più grandi illustratori a livello
europeo e mondiale, ma vi sono sezioni aperte anche per le nuove
generazioni di illustratori.
Durante il
periodo della mostra si svolge inoltre la manifestazione
denominata Le Fiere del teatro che rievoca antiche
feste popolari con artisti di strada, mangiafuoco, burattinai e
saltimbanchi.
Rivolta
alle scolaresche è La Scuola va a Teatro, rassegna di
teatro e laboratori per
bambini e ragazzi.
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