Nel tracciare un bilancio sulle cause dei fallimenti scolastici dei bambini provenienti dagli ambienti socialmente meno favoriti, Michel Fayol giunge alle conclusioni che i codici simbolici sono una delle cause essenziali di difficoltà. Per di più, gli strumenti audiovisivi che abbiamo a disposizione, soprattutto per la rappresentazione della terza dimensione, rischiano di mettere il bambino in difficoltà nella distinzione tra realtà e finzione.
Osservazioni e verifiche su produzione e comprensione lo confermano. Quando Magritte precisa che il suo quadro non è una pipa esprime la constatazione del fatto che il simbolo conserva delle analogie con l'oggetto, ma non è l'oggetto. L'immagine, la parola, il segno, il simbolo non sono il referente. Il bambino non li distingue spontaneamente e ha difficoltà ad associarli. Piaget ricorda che il segno, o il simbolo, è presente, già all'età di 18-20 mesi, nel linguaggio, nelle immagini mentali, nel sogno, nel gioco simbolico, nell'imitazione differita...Dai 9 ai 15 mesi, il bambino cerca di succhiare la fotografia di un seno, e non fa necessariamente differenza tra l'immagine e l'oggetto rappresentato, soprattutto se le foto sono molto realistiche.
Immagine, modelli, realtà e simbolo: una costruzione progressiva
Quando si domanda, ad adulti o bambini, di dire se un'immagine, leggermente differente, è accettabile per rappresentare un modello, i bambini concordano con più facilità, a patto che l'immagine non sia troppo differente dal modello. Quando si mostrano a bambini libri illustrati che rappresentano oggetti, allo scopo di verificare se sanno associare l'immagine all'oggetto, e successivamente alla parola, si constata che, dopo i 15 mesi, i bambini, il più delle volte, designano correttamente l'oggetto, a meno che l'immagine non differisca troppo, per forma e colore, dal modello. È segno che lo sviluppo è passato dalla fase associativa a quella simbolica. Conseguenze: si vedono talvolta bambini, tra i 20 mesi e i due anni, che tentano di scivolare su un taboga in miniatura, di prendere posto su un modellino d'automobile, o di sedersi su una sedia in formato ridotto, come se il modello, più realistico dell'immagine, desse luogo a tardive confusioni.
Ciò ha condotto la ricerca ad interrogarsi sulla percezione che i bambini hanno dei modelli. Se si chiede ai bambini di associare un oggetto celato in una stanza, con lo stesso oggetto inserito in un modello, o viceversa, si osserva che i bambini di due anni e mezzo hanno, quasi sempre, un risultato negativo, mentre hanno successo in massa pochi mesi più tardi. Il modello non è ancora un simbolo, ma un oggetto a pieno titolo, così come la stanza che rappresenta. Quando concentrano la loro attenzione sul modello, non lo mettono in relazione con la stanza reale. Bisogna ricorrere al sotterfugio di far loro credere che ci sia una macchina fantastica in grado di ridurre gli oggetti, affinché possano associare la stanza in dimensioni reali al suo modello ridotto. Per Fayol, ciò significa che è il doppio statuto del modello, a un tempo oggetto e simbolo, che pone il problema. Ma se, prima di chieder loro di ritrovare l'oggetto, si preparano i bambini attraverso la visione di un filmato in cui una persona lo cela, la risposta è massicciamente positiva, così mostrando l'efficacia dell'esperienza in un progresso di performance che non sarebbe permesso dal livello di maturazione delle capacità.
Importanza di interazioni organizzate per lo sviluppo delle capacità
Se si chiede a dei bambini di disegnare un palloncino o un lecca-lecca (due forme molto simili) ne consegue che, evidentemente, i due disegni si assomigliano molto. Tuttavia, i bambini, interrogati, rifiutano risolutamente l'idea che se possa prendere l'uno per l'altro. La loro intenzione è prevalente sulla formale somiglianza. È a partire da questi risultati che si comprende che gli inizi del linguaggio dipendono dall'intenzionalità. Per imparare a parlare, dai due ai quattro anni, i bambini hanno bisogno di intenzionalità. A quell'età, guardando la televisione, non imparano. Hanno necessità di interazione per costruire i simboli che costituiscono le parole.
Sullo stesso ordine di idee, Fayol riferisce un'esperienza: si chiede a un bambino, tra i due e i quattro anni, di fare un disegno che rappresenti un oggetto, poi si instaura un dialogo, per commentare o spiegare ciò che ha prodotto, quindi si chiede una seconda esecuzione. La successiva versione sarà maggiormente differente in relazione al progredire dell'età: si interiorizza il principio della riproduzione simbolica, l'utilità di adeguare, con maggior precisione, la propria esecuzione, per marcare la differenza tra differenti segni [= significante e significato]. Questo porta Fayol a porsi un interrogativo essenziale: Il bambino sa qual'è la forma simbolica socialmente valorizzata nella sua cultura? Impara a riprodurla? Tra quello sanno e quello che fanno, lo scarto può essere notevole. Se si chiede a bambini tra i 4 e i 10 anni, di indicare in una serie il disegno più riuscito, ci si accorge che indicano rapidamente quello che è realmente il migliore, e non quello alla loro portata grafica.
In conclusione, Fayol torna su un'idea a suo parere essenziale: i bambini arrivano presto ad apprendere le forme valorizzate nella loro cultura, ma ciò non esclude che ci voglia una didattica della simbolizzazione, considerata all'eccesso come capacità spontanea. Al contrario, l'utilizzazione di tecniche opportune (fotografie, video, plastici, modellini, …) e di ricostruzioni di situazioni, permette l'esperienza immediata delle situazioni in relazione alla produzione individuale. Lo sviluppo naturale ha i suoi limiti … non bisogna pensare che basti lasciar fare alla vita. Il ruolo della scuola è proprio quello di intervenire perché le esperienze si facciano, e non ipotechino l'avvenire e la crescita dei singoli … In caso contrario, tanto varrebbe abolirla.
[intervento al 5e Entretiens de la Petite Enfance – Cassis – 2010]
Nessun commento:
Posta un commento