Al momento della pubblicazione delle raccomandazioni della Consensus Conference sui disturbi specifici dell'apprendimento (2009), il numero dei casi accertati in Italia riguardava l'1% della popolazione in età scolare. L'associazione promotrice della conferenza (AID) stimava che i casi reali andavano calcolati attorno al 3-5%.
Nelle aree anglofone e francofone l'incidenza delle DSA si attesta sul valore massimo (5-6%), mentre la percentuale cala per gli ispanofoni, in virtù della maggior trasparenza fonologica dello spagnolo rispetto a francese e inglese.
Anche l'italiano è una lingua trasparente e ciò avrebbe dovuto far sperare in una minor occorrenza statistica rispetto alla media dei paesi con lingue opache.
Invece non è così, il 16 dicembre 2011, nel corso della conferenza, nell'aula di Montecitorio, su La scuola dell'obbligo e i disturbi specifici dell'apprendimento, si è appreso che la dislessia viene individuata nel 18-20% dei bambini che frequentano la scuola italiana.
Davvero un po' troppi, e giustamente, Federico Bianchi di Castelbianco, direttore dell'Istituto di ortofonologia di Roma, ha osservato che si tratta di un’ondata di medicalizzazione che investe tutti quei bambini i cui comportamenti si mostrano non inquadrati in un modello prestabilito.
Si tratterebbe ancora, dunque, del vecchio letto di Procuste della scuola italiana che, cacciato dalla porta con l'aiuto di don Milani, rientra dalla finestra, magari sponsorizzato dall'industria farmaceutica.
Se ogni insuccesso scolastico diventa una malattia, ecco che gli insegnanti sono automaticamente dispensati dall'ansia sull'efficacia della loro azione didattica, così come, d'altra parte, la famiglie vengono assolte da eventuali sensi di colpa relativi alla validità della loro funzione educativa.
Volano, dunque, gli stracci, e ci si arrangi tra poveri.
Ma le cose non stanno propriamente così, c'è da tener conto del business della sanità privata.
Infatti un'opportuna nota ministeriale (Prot.n.26/A 4° del 5/1/2005) recita: si ritiene di dover precisare che per l’utilizzazione degli strumenti compensativi e dispensativi possa essere sufficiente la diagnosi specialistica di disturbo specifico di apprendimento. Con ciò intendendo che non sia più necessario il passaggio attraverso il SSN.
Così, per lo meno, la raccontano, sul loro profilo Facebook, gli Esperti Dsa, che minacciano le scuole riottose ad accettare la certificazione di un privato, di denuncia, querela e richiesta di risarcimento (fissato, a quanto pare con tariffa fissa, in 10.000 euro).
Ecco allora che si intravede una lobby che, più ragionevolmente di mamme e maestre, potrebbe far sentire il suo peso nell'ampliamento progressivo dello spettro di applicabilità della diagnosi di DSA, che si registra a ogni convegno specialistico.
Il rischio, naturalmente, non è quello di dispensare, per certificazione, i fannulloni dai propri doveri, ma quello di sopprimere un sintomo - l'insuccesso scolastico - mascherando la latenza di più gravi disturbi.
Vi è anche da notare come l'estensione delle diagnosi di dislessia sia in linea con i programmi governativi di austerity. Il dislessico, infatti, non ha diritto all'insegnante di sostegno, con conseguente risparmio per l'amministrazione. C'è da prevedere una linea di tendenza che vedrà aumentare le certificazioni di DSA e diminuire, tendendo a zero, tutte le altre.
Infine non bisogna dimenticare che la compagine tecnica alla guida del paese, non fa mistero delle sue preferenze per un sistema educativo sempre più simile a quello americano, dove ci si rivolge al privato a cominciare dall'asilo.
Ai rigorosi calvinisti della Bocconi non va proprio giù che gli Italiani, potendo contare su un sistema scolastico pubblico decente, utilizzino gli eventuali loro risparmi per comprarsi la casa e non per pagare la scuola dei figli. Per aiutare il mercato a orientarsi sugli standard dei paesi più civili bisogna quindi rendere progressivamente la scuola (e la sanità, e la previdenza) indecente.
Una scuola dove diventa opzionale imparare a leggere e scrivere è quanto di più simile alle scuole degli slums e dei ghetti, da cui la la middle class deve rifuggire.